Un artista a cui sono sempre piaciute le sfide: questo il modo migliore per riassumere Apparat, all’anagrafe Sascha Ring, anno di nascita 1978.
All’epoca, una piccola rivoluzione. Se ne accorse John Peel, che ancora nel 2004 lo volle inserire in una delle sue “Sessions”. Se ne accorse la reginetta Ellen Allien, icona della tech-house più colorata e seducente, che lo pretese al suo fianco nella produzione dell’album “Berlinette” (2003) per poi addirittura co-firmare con lui “Orchestra Of Bubbles” (2006), considerato dal portale Resident Advisor – un’istituzione – uno degli album più importanti del decennio. Se ne accorsero in tantissimi, trasformandolo progressivamente in uno dei producer più richiesti del pianeta (anche in Italia, e in questo caso con due estremi: gli amici di vecchia data Giardini Di Mirò da un lato, addirittura Gianna Nannini dall’altro, strano ma vero). “Walls” (2007”) e il super-album “Moderat” (2009) progettato con gli amici Modeselektor non fanno che confermarne la fama, trasformandolo definitivamente in uno degli artisti elettronici più ammirati e amati dai cultori della club culture. E non più solo perché tedesco, non più solo perché di ambito berlinese.
A questo punto, si poteva anche vivere di rendita, insistere sulla stessa formula ti ha portato da zero al successo globale. Tornano però in campo le sfide: il 2011 vede Apparat virare con feroce convinzione verso territori sonori dove i laptop sono solo uno fra gli elementi possibili. “The Devil’s Walk”, in uscita per la Mute (e con un titolo che è un omaggio al poeta inglese Shelley), è piuttosto perfetto post rock del nuovo millennio, un’utopia possibile dove con l’elettronica Berlinese convivono anche i Sigur Ros e i Mogwai, mentre “Krieg Und Frieden” (2013) è una colonna sonora pensata e costruita per una piece teatrale, con tutta la complessità e l’eleganza che ciò comporta. Tornano comunque in campo anche i Moderat: “II” (2013) e “III” (2016) raggiungono un successo e un’esposizione esponenziale, con tour mondiali senza pausa. Ma in questi tour Apparat ogni tanto si ritaglia delle pause per dedicarsi al deejaying, regolarmente. Lo fa a modo suo: con piglio, personalità. Conosce perfettamente le dinamiche e gli alfabeti del dancefloor, sa che sono specifici. Conosce e ama le radici della musica elettronica così come oggi la conosciamo, tra gemme old school, schegge acid, grandi aperture di synth e lunghe gallerie emotive oscure ed inquietanti. Anche dietro la console, la sua visione è insomma forte, inconfondibile, unica. Una dote rara, al giorno d’oggi. Davvero rara.