Tutti i giornali questa mattina titolano “Vince Gabbani”, “Sorpresa Gabbani”, “Trionfo Gabbani“. Tutto vero, ma non è questo che ci rimarrà del Festival di Sanremo 2017. Ci rimarrà un Sanremo fatto da canzoni che ci hanno messo un po’ ad entrarci in testa, come ha ben notato Linus, membro della giuria di qualità e direttore di Radio DeeJay. Ci rimarrà una Sanremo fatto di canzoni che inneggiano alla vita, alla non violenza, all’amore per un figlio, alla denuncia sociale di una realtà odierna fatta solo di apparenza.
Perchè, se abbiamo iniziato il Festival pensando che quest’anno tra Maria De Filippi e tutto questo parterre di giovani provenienti dai talent, la vittoria sarebbe stata scontata e si iniziavano ad alimentare complottismi vari, ci sbagliavamo. Ci siamo sbagliati anche quando abbiamo visto Amara sul palco, autrice del brano di Fiorella Mannoia, e abbiamo detto “Vedi, questo è incitare a votare la Mannoia”.
Ci siamo sbagliati su quasi tutta la linea, sebbene almeno per le tre canzoni del podio qualche previsione corretta l’avevamo fatta. Ma torniamo al cosa ci resta.
Ci resta un Festival vinto da un ragazzo che fino a due anni fa non sapevamo manco chi fosse. Perchè ha vinto un giovane che ha trionfato l’anno scorso tra le nuove proposte. E al terzo posto c’è Ermal Meta che prima di Sanremo 2016, dove ha gareggiato anche lui tra le nuove proposte, conoscevamo forse solo come autore (andate a vedere quanti testi ha scritto per cantanti che passano in continuazione in radio e vi farete un’idea di quanto dobbiamo a questo ragazzo).
Ci rimarrà una Festival di Sanremo con un podio dedicato alla vita, dicevamo. Perchè il tempo delle canzoni che parlano di amore in modo sfrenato e colorato di rosa è finito. C’è Gabbani che trionfa con una canzone tanto carina, tanto orecchiabile, ma con una denuncia sociale che tutto fa tranne che ballare spensierati. Ci ha “raggirato” con il balletto, la scimmia e una melodia che, per quanto simile ad Amen, rimane in testa. E poi…taaac! Un testo che ci mette con le spalle al muro “L’intelligenza è démodé […] Tutti tuttologi col web, coca dei popoli, oppio dei poveri[…]“. Una fotografia dura e forse nemmeno così originale di ciò che siamo ma noi, che gli riconosciamo la ragione e ci piace essere onesti, lo abbiamo premiato.
Come abbiamo premiato una regina della musica italiana, Fiorella Mannoia, un’interprete straordinaria che è salita sul palco dell’Ariston e ci ha recitato la sua poesia dedicata alla vita, comunque benedetta. E poi abbiamo premiato Ermal Meta che ha portato a Sanremo una canzone molto orecchiabile, ma piena di rabbia quanto di speranza. Di un padre violento. Di una madre che cerca di colorare la vita con tinte chiare e luminose per il suo piccolo bambino che è vittima di una situazione più grande di lui “Hai smesso di sognare per farmi sognare“. La canzone fa venire i brividi ed è una sorta di collegamento con la precedente “Lettera a mio padre” (da sentire solo quando non siete particolarmente fragili perchè è un pugno allo stomaco).
E allora ricordiamoci di disobbedire, come dice Ermal, non solo a quelle situazioni che la vita ci pone davanti e sono palesemente sbagliate. Ricordiamoci di disobbedire anche ai paradigmi mentali della società di oggi. Ricordiamoci di disobbedire ai pregiudizi. Ricordiamoci di disobbedire alle ingiustizie e ricordiamoci che è vero ciò che hanno dichiarato i giornalisti della vecchia guardia: Sanremo è cambiato e quest’anno ha ben fotografato ciò che viviamo oggi: violenza, conformismo sfrenato, ma voglia di vivere una vita benedetta.
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