Quando si parla di musica elettronica Simone Pastore conta davvero pochi rivali. Lo abbiamo intervistato in esclusiva, ecco cosa ci ha raccontato.
Sono davvero pochi, in Italia ed all’estero, a poter vantare un curriculum artistico all’altezza del nostro Simone Pastore. Oggi si fa chiamare Javè: abbiamo fatto una lunga chiacchierata con lui e ci ha raccontato moltissime cose su passato, presente e futuro.
Ciao Simone, partiamo dall’inizio. Com’è scoccata la scintilla per la musica?
Avevo otto anni, io e mio fratello maggiore Michelangelo prendevamo lezioni di pianoforte dal maestro Bolognini, un collega di scuola di mia madre. La mia vocazione però era “creare”, dunque quando a inizio anni Ottanta affiorarono nuove tendenze dall’Inghilterra anche io cominciai automaticamente ad interessarmi di apparecchiature elettroniche, campionatori e sintetizzatori. Come musicista cerco di esaltare più l’armonizzazione che non la tecnica pura.
Negli anni Novanta hai scalato i vertici delle classifiche con i Da Blitz. Come ricordi quell’esperienza?
Era più o meno l’aprile del 1993 e stavo studiando Farmacia a Torino. Vicino alla facoltà c’era un noto negozio di strumenti musicali, “Scavino”, che frequentavo spesso. Lì conobbi il mio amico Aldo. Fu lui un giorno a presentarmi alla Bliss Corporation ed il resto è storia: a fine anno uscì il primo singolo dei Da Blitz “Let Me Be”, eravamo un duo affiatato (Simone Pastore e Viviana Presutti, ndr.) e riuscimmo ad inserirci alla perfezione all’interno del movimento elettro-dance. In quel momento la scena torinese era piuttosto prolifica, ed oltre a noi si fecero largo i Bliss Team, gli Eiffel 65, Gabry Ponte, Gigi D’Agostino ed altri che segnarono un punto di non-ritorno. Cercavamo di mettere energia e dare emozioni attraverso il ritmo, la melodia è fondamentale perché ti rimane in testa. Si respirava un’atmosfera magica, ed i risultati sul mercato ne sono la testimonianza. Nel 1998 tornai in Puglia per terminare gli studi e cominciai a comporre musiche da film.
Chi sono gli artisti che ti hanno ispirato?
In primis i Depeche Mode e i Kraftwerk, per quanto riguarda la melodia Jean-Michel Jarre e Vangelis. Ce ne sono diversi, ma questi li ritengo i quattro pilastri fondamentali nella mia formazione.
Di recente hai lavorato alla colonna sonora de “La Casa Del Sabba”. Ce la racconti?
Mio fratello Luigi Pastore ha coordinato la produzione ed aveva già preconfezionato dei brani dalle librerie “free”. In origine non era previsto che facessi parte dell’entourage, in seguito però si è accorto che c’era bisogno di qualcosa che supportasse meglio le scene così ha deciso di coinvolgere sia me che Clive Riche. Ho cercato di carpire il mood rispettando le sue idee e dando un senso logico. Fortunatamente ho già una certa esperienza nel settore: la mia “prima volta” come compositore di colonne sonore è stato nel 2009 per il suo lungometraggio “Come Una Crisalide” insieme a Claudio Simonetti, solo pochi mesi fa invece ho lavorato ad “Antropofagus II” di Dario Germani, per cui il processo è stato semplice e naturale.
Cosa lega Kraftwerk, dance anni ’90 e colonne sonore?
Il filo conduttore di ogni era musicale è la strumentazione. Se ascolti un brano di musica classica trovi uno sforzo artistico nel “virtuosismo”, ma non nella sonorità. Finché non evolvono anche gli strumenti restano comunque dei limiti, con le nuove apparecchiature invece hai delle possibilità infinite. In questo senso l’house-music ha aperto un mondo.
Chi sono oggi i tuoi artisti preferiti?
E’ difficile da dire, attualmente sto riscoprendo l’ elettronica francese degli anni Settanta e realtà meno blasonate ma di assoluto valore, come Dominique Guiot, Teddy Lasry, Philippe Guerre e Olivier Roy. Poi c’è Jean Pierre Posit, pseudonimo di Claudio Gizzi, di cui adoro “Automat” e “Magie D’Amour”. Purtroppo ciò che ascolto di bello non viene dall’Italia.
E le tue canzoni preferite?
Mi piace particolarmente “The Sound Of Silence”, di Simon And Garfunkel.
Chi sono nella musica i grandi innovatori?
Sicuramente Michael Jackson ed i Beatles. Hanno stravolto i parametri, dopo di loro tutto è cambiato. Oggi ci provano in tanti, ma nessuno riesce a dettare le regole del gioco come hanno fatto loro.
C’è qualcosa che hai scritto di cui vai particolarmente orgoglioso e che tutti dovremmo ascoltare?
Sì, “Another Planet”. E’ una raccolta di brani a firma “Javè” che ho composto tra 2018 e 2021. E’ stata pubblicata proprio quest’anno dalla Originali Music Group di Guido Villani. Credo di aver innalzato la mia “asticella” compositiva: è disponibile in tutti i music-store, contiene pezzi di cui vado fiero ma non voglio svelarvi i titoli, preferisco che siate voi a giudicare.
Quali progetti hai nell’immediato futuro?
Da poco tempo è uscito a nome Retronik un remix dello storico brano dei Bronski Beat “Hit That Perfect Beat”, qualche giorno fa invece “Soldi” di Betty Curtis. A breve metterò mano a una nuova produzione di Gianni Paolucci sempre dietro la regia di Dario Germani, ma non posso anticiparvi nulla al riguardo.