Giovanni Calza ha scritto JukeBox per Santelli Editore un tourbillon di emozioni che ci raccontano la musica, e non solo, degli anni sessanta. Ecco la sua intervista in esclusiva ai nostri microfoni.
Da dove nasce la sua passione per la musica degli anni sessanta?
La mia passione per la musica ha origini lontane, quando all’età di 5/6 anni ascoltavo le note impetuose uscire dal jukebox della gelateria che i miei avevano preso in affitto nel centro del paese dove sono nato. Le più gettonate erano Letters in the Sand di Pat Boone, oppure Diana (Daiana) di Paul Anka o Oh Carole di Niels Sedaka. Qualche anno dopo ho rafforzato questa passione ascoltando i ragazzi del borgo intonare nel laboratorio del fornaio Io ho in mente te dell’ Equipe 84. E poi sempre dal jukebox della gelateria, anche dopo che i miei l’hanno lasciato, sentivo i Beach Boys con Barbarah poi diventata il jingle del dentifricio Durban’s. Il Beat non avendo il giradischi, l’ho vissuto dalla radio e, ovviamente, dal jukebox.
All’interno di Jukebox parla di tante cose, ma che differenza c’è tra la musica di oggi e quella di quel periodo?
La musica di ieri era oggettivamente molto più bella. Penso ai Beach Boys, ai Beatles, ai Mama’s and Papa’s, ai Bee Gres, agli Animals, ai Rolling Stones. Ma occorre dire che la musica aveva un carattere rivoluzionario, i testi inneggiavano alla ricerca di un mondo migliore. Il mondo dei vecchi, i matusa, andava abbattuto, pacificamente, e sostituito da un mondo più colorato, più giusto, più tollerante e soprattutto senza guerre. Tutti, dico tutti i giovani, intesi anche come categoria, avevano sposato questa causa e condividevano queste canzoni. Amavamo questa musica anche per motivi meno ‘ideologici’ poiché hanno costituito la colonna sonora dei nostri primi amori, quando alle festicciole del sabato pomeriggio in casa di amici ballavamo con i Creedence, ma pomiciavamo con Ho difeso il mio amore dei Profeti. Diciamo infine che di musica c’era una gran sete e noi ragazzi ci attaccavamo a quelle trasmissioni come Bandiera Gialla, Per voi giovani, Hit Parade , Disco per l’estate come ai pozzi nel deserto. Per tutto ciò bisogna ringraziare gli organizzatori, da Ezio Radaelli a Ettore Bernabei , che avevano trovato assieme alle numerosissime case discografiche, la quadratura del cerchio: promozione commerciale-divertimento- cultura.
Anche le pubblicità erano fonte di musica e di grandi momenti emozionali, perché oggi si è perso ciò?
Sì certo, anche se non vedo grandi differenze con allora. Oggi come allora i jingle erano costituiti da brani che andavano forte al momento.
Che rapporto aveva con la musica negli anni sessanta e che rapporto ha oggi?
Negli anni 60 e 70 la musica per noi ragazzi non era un passatempo, un momento che occupava il tempo libero, era tutto. La moda la imparavano da come si vestivano i cantanti, così come il taglio del capelli; le fughe da casa erano imitazioni di certe canzoni; l’amore lo imparavano dai testi di Mogol, di Pallavicini, di Beretta. Il rispetto per le donne e il romanticismo l’abbiamo imparato dalle canzoni. La nostra formazione etica non poteva prescindere dai testi di certe canzoni, ancora più importanti del prete e degli insegnamenti ricevuti a scuola e in famiglia.
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