Da pochi mesi è uscito il docu-film sulla storia di Kurt Cobain, leader dei Nirvana, morto suicida il 5 aprile 1994 e il profeta del grunge continua a far parlare di sé. Il suo “fantasma” musicale e di poesia triste e meravigliosa aleggia su molti giovani che continuano ad indossare magliette con la sua faccia, cantare le sue canzoni e leggere i suoi diari.
Eppure la morte di Kurt Cobain nasconde, nemmeno troppo velatamente, un uomo, un ragazzo, con una dipendenza forte dall’eroina e una insana passione per le armi. Nella mostra fotografica “The last shooting” dedicata proprio a Kurt e realizzata dal fotografo Youri Lenquette si vedono degli ultimi scatti in cui il leader dei Nirvana gioca con una pistola puntandola verso di sé e verso l’obiettivo.
La sua passione per le armi era conosciuta da tutti tanto che pare che Kurt ne avesse un’ampia collezione e, probabilmente in questo morboso fascino giocava anche una parte il fatto che il cantante, da piccolo, abbia visto la madre che tentava di uccidere il patrigno con una pistola.
Pistola come arma per togliersi la vita, pistole per gioco, pistole nelle foto e pistole anche nelle canzoni come in “Smell like teen spirit” e in “Come as you are“. Così, con una delle sue pistole, una Remington M-11 Kurt decide di porre fine alla sua esistenza lasciando una lettera straziante che si chiude con le parole di un brano di Neil Young “Non provo più entusiasmo…e perciò ricordate che è meglio bruciare rapidamente che spegnersi lentamente”.
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