Ligabue lo conosciamo come un mattatore degli stadi, dei palasport e di tutti i palchi. Un cantante e autore unico che ha segnato gli ultimi 20 anni della musica italiana. Spesso così, idolatrandolo, lo vediamo come impassibile e irraggiungibile dai dolori di “noi comuni mortali”. Invece ieri sera, ospite a Che Tempo Che Fa, la trasmissione di Fabio Fazio, Ligabue ha raccontato del suo ultimo libro e del momento tragico della morte del figlio appena nato.
Trovarsi dopo la nascita di un figlio che muore e il giorno dopo c’è il primo concerto voce e chitarra, è la condizione più nuda. Però al di là del fatto che è il racconto del concetto di ‘the show must go on’, io l’esperienza l’ho vissuta veramente e so che significa e so anche il beneficio che ne ho ricavato. Ero a pezzi, non ero in grado e mi sono poggiato su di loro: è crudele che quando uno deve vivere un momento suo sia costretto ad allietare altri animi, ma è anche vero che riesci a beneficiare del contatto.